La più efficace sintesi della sua poetica sta forse nella Eat Art, un lungo discorso attorno al cibo, al rituale del pranzo e del banchetto, in cui le opere d’arte sono realizzate con materiali commestibili: allestisce cene-happening in cui sono protagonisti i celebri tableaux-pièges (quadri-trappola), resti di pasti apparecchiati, rimasugli di oggetti quotidiani fissati nella loro squallida banalità, tracce di un passato vissuto deteriorate dall’uso. Tavoli apparecchiati con piatti e bicchieri sporchi usati, incollati in una immobile eternità, avanzi di cibo, bottiglie di vino a metà, mezzi pacchetti di sigarette, portacenere con mozziconi spenti, tovaglioli sporchi e spiegazzati, macchie di bevande assurgono a metafora di una vita effimera in cui tutto è destinato a divenire rifiuto e relitto.
L’intenzione di Spoerri, infatti, non è tanto quella di produrre un’opera d’arte quanto di bloccare un momento del suo accadere temporale. Ricompare così il concetto dadaista dell’artista che trasforma l’oggetto comune in oggetto artistico attraverso il solo potere del suo gesto demiurgico. “Con una parola – dichiara – si può sempre dire una cosa ma anche il suo contrario, gli oggetti, invece, non parlano; sono là, con la loro presenza; è, quella degli oggetti, una lezione di libertà.”